Formazione

Anticipazioni. La relazione sull’export. Armi italiane: quante, dove,come,perché

Siamo il nono paese al mondo nella classifica delle vendite. Che nel 2002 ci hanno fruttato quasi 1 miliardo. Ed un articolo di Emanuele Riga.

di Paul Ricard

Cresce l?export italiano di armamenti: lo dice la relazione al Parlamento di Palazzo Chigi. Nel 2002 il ministero degli Esteri ha rilasciato 851 autorizzazioni all?esportazione per un valore di 920.155.906,52 euro, con una crescita del 6,6% rispetto all?anno precedente. A questi dati si affiancano quelli relativi alle esportazioni avvenute (e quindi autorizzate in anni precedenti), che ammontano a 487 milioni di euro, con una diminuzione del 13,7%. Sul piano mondiale, l?Italia si colloca così al nono posto tra i Paesi esportatori di armi convenzionali, con un volume pari a 358 milioni di dollari (dati Stockholm Peace Research Institute – Sipri 2002). Chi compra… Il nostro ?miglior cliente? è la Spagna, verso la quale sono state approvate autorizzazioni per oltre 246 milioni di euro complessivi; al secondo posto si piazza il Kuwait (83 milioni di commesse) e al quartultimo posto Israele. In aumento le commesse verso l?Estremo Oriente, con 131 autorizzazioni, per un valore di quasi 150 milioni di euro. Un “forte regresso” rispetto all?anno precedente si registra invece per quanto riguarda l?America Latina, con licenze per 41 milioni. Tornano a salire le vendite verso l?Africa Settentrionale e il Medio Oriente; in particolare, sottolinea la relazione, “va segnalata la commessa per il Kuwait di una centrale di tiro per 77 milioni”. La classifica delle aziende esportatrici, formulata sulla base del valore delle commesse, è guidata dal Consorzio Fiat Iveco-Oto Melara, con ordini per oltre 220 milioni. ? e chi vende? E le importazioni? Il valore dei materiali autorizzati all?ingresso in Italia è pari a 32.101.535 euro. Il principale fornitore del nostro Paese sono gli Stati Uniti, con commesse per 15.169.439 di euro, seguiti dalla Germania con 11.280.713. Durante il 2002, infine, sono state rilasciate 212 autorizzazioni per l?uscita di beni ?a duplice uso? (civile e militare) e per i quali esiste il rischio di impiego nella fabbricazione di armi nucleari, chimiche o batteriologiche. In 26 casi è stata messa in moto la clausola ?catch-all?, ossia la necessità di sottoporre a controllo e a eventuale rilascio di autorizzazione l?esportazione di beni non compresi nella lista di quelli a duplice uso, “quando vi sia il rischio che essi possano contribuire alla proliferazione di armi di distruzione di massa”. Non arriva Secondo fonti delle Nazioni Unite (Doc. A/54/258), su 49 conflitti combattuti durante gli anni 90, le armi leggere sono state il tipo di arma più usata in ben 46. Si è assistito negli ultimi anni a una vera e propria proliferazione di armi leggere e di piccolo calibro nelle zone più ?calde? del pianeta. Questo fenomeno è causato da diversi fattori: non esistono normative internazionali vincolanti che ne limitino i trasferimenti; costano poco e sono facili da reperire sul mercato nero; sono di piccole dimensioni, leggere, facilmente trasportabili e occultabili durante gli attraversamenti di frontiera. Lo scoppio di numerose guerre civili ha funzionato da vero e proprio ?richiamo?, attirando notevoli quantità di armi leggere, facilitando una tremenda letalità nei conflitti e prolungandoli nel tempo. Enormi sono gli interessi economici alimentati dal business delle armi leggere. Le regole della domanda e dell?offerta, espressione della logica di mercato, non vengono invalidate da considerazioni etiche su questi strumenti di morte. Nulla di strano quindi se le imprese produttrici di armi cerchino di conquistare nuovi mercati e di accaparrarsi la clientela maggiormente interessata ai propri prodotti. E quale migliore occasione per ?conquistare nuovi mercati? di un conflitto potenziale o di una guerra? L?industria delle armi ha conosciuto una grossa crisi durante gli anni 90, in seguito alla fine della guerra fredda e al calo della spesa militare su scala mondiale. Le industrie belliche sono corse ai ripari e si è così assistito a una loro trasformazione: le piccole e medie imprese sono state incorporate dalle multinazionali del settore; sono stati cercati nuovi mercati per compensare la riduzione della domanda interna; molte industrie sono state privatizzate; sono aumentati gli accordi di fusione e le joint ventures fra le compagnie. Da questa risistemazione sono emerse poche compagnie di enormi dimensioni, ognuna delle quali capace di produrre beni e servizi nell?ambito militare per un valore annuo dai 5 ai 19 milioni di dollari. Anche in Italia si è assistito a un cambiamento simile. Dal lato della domanda, grandi acquirenti di armi sono i Paesi del Terzo mondo. Come finanziano tali acquisti? Secondo Amnesty International, dei 2.200 miliardi di dollari accumulati dai Paesi in via di sviluppo nel 1997, quasi un terzo è riconducibile a operazioni di prestito e di acquisto di materiale bellico, con il coinvolgimento di banche, imprese, agenzie di assicurazione del credito all?esportazione dei Paesi ricchi. Secondo i dati Sipri (Stockholm International Peace Research Institute) del 2002, l?Italia occupa il nono posto fra i Paesi esportatori di armamenti convenzionali. Uno dei ?fiori all?occhiello? della produzione italiana sono proprio le armi leggere. Sono 14 le imprese che le producono e le principali sono: il gruppo Beretta Holding, il gruppo Finmeccanica (attraverso la Breda Meccanica Bresciana) e il gruppo Fiat (attraverso la Snia-Bdp Difesa e Spazio). La produzione italiana è egemonizzata dalla Beretta Holding spa (terzo colosso mondiale nel settore con un fatturato nel 1999 di 448 miliardi di lire), un?azienda multinazionale a controllo familiare che opera in più di 60 Paesi attraverso 16 aziende e che offre un ampio catalogo di prodotti, distinti in due linee: civile e militare. Armi Beretta hanno raggiunto negli ultimi anni diverse zone di conflitto (oppure secondo una diversa terminologia ?mercati di sbocco?). Sono state utilizzate persino da gruppi del fondamentalismo islamico in Algeria. Il 27 marzo 2003 il Senato italiano ha approvato il disegno di legge 1547 di modifica alla legge 185/90. Con queste modifiche non verrà più reso noto il certificato finale di destinazione d?uso e sarà permesso allacciare rapporti con Paesi che commettano violazioni ?non gravi? dei diritti umani. In una situazione internazionale come quella attuale, ove i Paesi occidentali si sentono minacciati da gruppi terroristici e da ?Stati canaglia?, e la retorica di guerra si appropria dei valori democratici, la decisione di liberalizzare e commercializzare maggiormente le vendite di armi è contraddittorio e paradossale. Le pretese di sicurezza vengono superate da logiche di mercato e da miopi interessi politici. D?altronde, come ci ricorda un famoso adagio popolare, “gli affari sono affari”.


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